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La Sindrome del Finto Artigianato

Hey buon martedì!

Ieri era Pasquetta ed ero troppo impegnato a grigliare per mandare la newsletter! 🥩🔥

Ma veniamo a noi.

Parliamo di artigiani.

Appena hai letto questa parola hai subito pensato al falegname che lentamente pialla un’asse di legno, un sarto che con maestria segna tessuti col gessetto, un fabbro che curva con precisione una barra di ferro incandescente.

E il nostro cuore si riempie d’affetto.

Perché siamo in Italia.

Siamo italiani.

E noi siamo un popolo di piccoli artigiani che fanno le cose “ammodo” con sapienza ed esperienza.

E quindi l’artigiano è il rappresentante perfetto dell’Italia.

Vero?

In realtà no.

Sì, è vero che l’artigiano rappresenta l’Italia. Ma non è vero che facciamo le cose ammodo con sapienza ed esperienza.

Non fraintendere. Ci impegniamo moltissimo. Abbiamo fatto queste cose per anni. Ma ancora non abbiamo capito dove risiede il valore.

– Pensiamo che ogni bene debba necessariamente essere esperienziale in tutto il suo percorso, compresa la produzione.

– Pensiamo che la produzione di massa abbia sempre una qualità più bassa della produzione artigianale.

– Non capiamo il valore della managerialità.

Questo pensiero artigiano lo applichiamo a tutti i settori, anche all’ospitalità. Con danni incalcolabili.

Vediamo perché.

Esperienzialità a 360°

Ci hanno detto che bisogna fare storytelling. Che il cliente compra esperienze. Che gli hotel non vendono camere ma emozioni, sensazioni e ricordi.

Tutto vero.

Ma abbiamo trasformato ogni singola cosa in esperienza nel folle tentativo di vendere tutto.

E non ci rendiamo conto che alcune attività si possono nascondere al pubblico per renderle più efficienti e produttive.

Cosa voglio dire in pratica?

Voglio dire che BMW riesce a venderti le emozioni di guida delle sue macchine anche senza farti vedere l’artigiano della pelle che sistema le sellerie perché non esiste, è un robot a farlo.

Che Barilla riesce a trasmettere lo stesso la sensazione di casa, famiglia, focolare domestico anche se la sua pasta è fatta da enormi macchinari e non da sciure armate di mattarello.

E puoi farlo anche tu.

Non c’è bisogno di dire che tutti i tuoi fornitori sono locali se poi il prezzo in più che paghi loro non si riflette in prezzo in più pagato dal cliente.

Non c’è bisogno di mostrare che le tagliatelle le fa il tuo cuoco se poi il cliente non dà valore alla cosa.

Non tutto deve essere trasformato in esperienza.

Qualità ≠ Tempo

Abbiamo confuso la qualità di un prodotto con il tempo o il costo che impieghiamo per fornirlo al cliente.

Questo è un classico errore di percezione che applichiamo anche al lavoro: se quella persona ci ha messo 10 ore a produrre il prodotto ABC e quell’altra persona ci ha messo 1 ora a produrre sempre ABC allora il ABC della prima persona è sicuramente di più alta qualità, giusto?

No, questo non è necessariamente vero. La seconda persona potrebbe avere così tanta esperienza da produrre ABC molto rapidamente. La seconda persona potrebbe avere macchinari che gli permettono, senza perdita di qualità, di creare ABC in un attimo.

Tempo impiegato non è sinonimo di qualità.

Non tutte le piadine fatte a mano sono migliori di quelle del supermercato.

Non tutti i mobili artigianali sono migliori di quelli d’IKEA.

Di conseguenza anche in hotel dobbiamo ragionare attentamente: in quali attività l’artigianalità (con le sue tempistiche) dà valore e dove non lo dà?

Con l’avvento della robotica nei prossimi anni anche noi ci scontreremo con questo ragionamento.

Il fatto di avere personale umano in cucina e non un robot dà valore al cliente?

Il fatto di avere personale umano al bar e non un robot dà valore al cliente?

Non rispondiamo di pancia a questa domanda, perché potrebbe essere una risposta sbagliata.

(banalmente: pensa alle ultime 10 volte che sei stato al ristorante. Se dietro le porte da cui escono i camerieri ci fosse stato un robot e non dei cuochi umani te ne saresti accorto?)

Manager vs Paròn

Sono figlio di albergatori e ho iniziato a lavorare in hotel a 16 anni. Spesso mio nonno mi prendeva da parte e mi dava qualcuno dei sui consigli o delle sue massime intrise di 50 anni di esperienza in hotel.

Una delle sue preferite era “chi striglia il suo cavallo non è chiamato mozzo” ovvero “se sei il proprietario del cavallo, anche se fai un lavoro umile, comunque non sei un servitore”.

Questo è assolutamente vero.

Il problema è che molti albergatori hanno preso questo consiglio troppo sul serio e si sono messi a fare SOLO attività umili: controllano la qualità della merce che arriva dal fornitore, si mettono dietro al bancone della reception a fare i check-in, servono bevande al bar.

Perché fanno tutto questo?

Perché si sentono artigiani e credono che il loro intervento diretto migliori la qualità del prodotto/servizio.

A volte è vero. Dopotutto “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo”, altra massima di mio nonno.

Ma qual è il problema?

Il tempo.

Non abbiamo tempo infinito.

E quindi dobbiamo ottimizzarlo.

E per farlo bisogna togliere il cappello da paròn e indossare il cappello da manager.

Bisogna smettere di dire “le cose le faccio io che so come vanno fatte” e passare a “insegno agli altri come fare le cose così non devo più farle io e posso dedicarmi a fare cose più produttive”.

Non fraintendiamo.

Capita di dover svolgere queste attività. Ricordo che poche settimane prima del primo lockdown il membro del team al lavaggio piatti è stato male e ha comunicato che non sarebbe venuto al lavoro all’ultimo secondo. Eravamo già stretti di personale per ferie, di conseguenza mi sono tolto giacca e cravatta, ho indossato la parananza e mi sono messo al lavaggio fino a fine servizio.

Ma se fare l’artigiano di questi lavori diventa una quotidianità vuol dire che stai perdendo l’opportunità di massimizzare il valore del tuo tempo facendo il manager.

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