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Cosa non capiamo del nuovo mondo del lavoro

Da mesi ormai si parla di Great Resignation.

In tutto il mondo occidentale le persone stanno abbandonando il proprio lavoro.

Le aziende, soprattutto nel settore dell’ospitalità e della ristorazione, che stanno cercando lavoratori non riescono a trovarli.

Tutti esprimono la propria opinione sulle motivazioni di questo fenomeno, però vedo troppo spesso un focus su questioni superficiali (“è colpa del reddito di cittadinanza”, “i giovani d’oggi non sanno cosa vuol dire fare la gavetta”) e quasi mai sul cambiamento di cultura che si è generato in questi ultimi 20 anni.

Quindi io vorrei approfittare per analizzare alcune questioni relative a questo aspetto.

Lavoro come espressione di sé

Il lavoro è stato (quasi) sempre visto come un mero scambio.

Io fornisco al datore di lavoro il mio tempo e le mie competenze e lui in cambio mi fornisce uno stipendio.

Ma negli ultimi 100 anni abbiamo deciso di creare una cultura per cui il lavoro rappresentasse qualcosa di più della semplice attività che mi consente di (soprav)vivere.

Questa è stata una strategia molto utile per le moderne nazioni per aumentare la produttività dei propri cittadini.

Ma ha uno svantaggio: il lavoro svolto deve essere di valore, deve rendere orgogliose le persone che lo svolgono, devono capire che aiuta la società a migliorarsi.

Quando sono a una cena con persone che non conosco e mi chiedono che lavoro faccio io devo potergli rispondere con fierezza del mio lavoro, delle attività che svolgo e dell’azienda in cui spendo la maggior parte del mio tempo.

In pratica quali sono i valori che rappresento quando lavoro.

Oggi pochissime aziende hanno una rappresentazione chiara di quali sono i propri valori e del perché fanno quello che fanno.

E quindi le persone non saranno interessate a lavorare per esse;

Inflessibilità e insicurezza

Il lavoro di oggi è diventato sempre più insicuro.

Perché lo si può perdere da un momento all’altro e perché comunque gli stipendi sono così bassi che spesso bastano appena a sfamarsi senza offrire la possibilità di mettere su famiglia, comprare una casa, fare investimenti.

Di conseguenza le generazioni dalla mia (millennials) in poi si sono abituate a pararsi il culo. E per diminuire il livello di rischio hanno diversificato: lavoretti, gig economy, hobby remunerativi.

Il punto è che

– siamo diventati così bravi a farlo che la mancanza di flessibilità di un lavoro normale ci renderebbe difficile svolgere questi altri lavori e quindi il lavoro normale dovrebbe compensare, oltre alle ore svolte, anche questa perdita di sicurezza economica;

– siamo diventati così bravi a farlo che la nostra redditività oraria nel fare questi lavoretti è maggiore di quella di un singolo lavoro normale, quindi chi ce lo fa fare di accettarlo?

Quale futuro mi offri?

Proprio perché il lavoro di oggi è così insicuro non siamo più disposti ad accettare solo lo stipendio, perché anche ammesso che esso sia elevato (e non lo è) se l’attività lavorativa dura solo 3/4 mesi io voglio anche qualcosa che mi aiuti a garantirmi un futuro oltre questo orizzonte temporale.

Come?

Facendomi crescere professionalmente tramite corsi, training, apprendimento di nuove skill.

Se non le includi nella tua offerta lo stipendio che sarò disposto ad accettare dovrà anche compensare il tempo in cui sarò disoccupato

Il valore del tempo

Ogni generazione è la risposta ai problemi dei propri genitori.

Cosa significa?

Ogni persona che cresce sente su di sé, durante i primi anni della propria vita, la pressione dei dolori e delle paure dei propri genitori, di ciò che gli è mancato.

La generazione dei miei nonni ha vissuto la guerra, la fame e la povertà.

I loro dolori sono stati la povertà stessa e la mancanza di cibo e beni.

Di conseguenza i loro figli, la generazione dei miei genitori, ha ricevuto come input fondamentale della vita “non essere povero”.

Di conseguenza hanno dedicato tutto il loro essere al lavoro e all’ottenimento di beni che garantissero loro la non-povertà: soldi, cibo, vestiti.

Ma qual è stato il loro dolore?

La mancanza di tempo e una bassa qualità della vita (causata dagli eccessi di lavoro, cibo, alcool, sigarette. Tutti simboli di ricchezza).

La mia generazione quindi a cosa da valore?

Alla quantità di tempo che ha a disposizione e al modo (qualità) di spenderlo.

E quindi?

Quindi se tu offrivi alla generazione dei miei genitori di lavorare 8 ore al giorno per 1200€/mese loro ti rispondevano “facciamo 10 ore al giorno per 1500€/mese?”.

Se tu offri alla mia generazione la stessa cosa ottieni un no oppure una richiesta di part-time.

Perché il mio tempo e la mia qualità della vita vale di più di ciò che mi stai offrendo.

Visto quanto appena detto cosa si può fare per attirare più persone a lavorare per il proprio hotel?

Dai un senso al loro lavoro in azienda

Fagli capire il “perché” il tuo hotel esiste, al di là di ottenere buoni risultati economici.

Chiarisci il motivo per cui c’è l’hotel e qual è il suo scopo: vuole far scoprire ai turisti le vere caratteristiche della località? Vuole essere un posto dove gli ospiti possono dimenticare lo stress? Vuole aiutare i professionisti in viaggio a essere più produttivi?

Sono tutti possibili perché di un hotel, ma devono essere chiaramente esplicitati sia a parole che nei fatti allo staff.

In più, proprio nell’ottica del seguire il perché dell’azienda, dovresti iniziare a trattare il tuo team come partner.

Se non vuoi includerli nella divisione degli utili almeno coinvolgili nel processo decisionale sulla direzione che sta prendendo l’azienda;

Offrigli sicurezza

La sicurezza deriva anche dalla conoscenza.

Sapere l’andamento dell’azienda, i suoi progetti, il suo futuro, prossimo e lontano, può far capire di essere inclusi in un progetto a lungo termine anche in una struttura stagionale.

Cerca di fargli avere i dati su come va l’hotel, quali sono i suoi livelli di guadagno, che lavori verranno fatti nel periodo di chiusura, qual è il target di clienti che si vuole intercettare in futuro;

Dagli un futuro

Entra in un’ottica per cui migliore è il tuo team e migliore sarà il tuo hotel e inizia a fargli formazione sia nelle hard skill che nelle soft skill.

Così ne trarrà vantaggio il tuo hotel e ne trarrà vantaggio anche il singolo membro del tuo staff che si sentirà più fiducioso riguardo alla sua ricerca di lavoro futura.

E poi cerca di fare qualche attività, anche piccola, per aiutarli: se sei un hotel stagionale estivo, ad esempio, cosa ti costa cercare per loro degli hotel stagionali invernali da contattare cui suggerire il tuo staff?

Cosa costa scrivere delle lettere di referenze che abbiano veramente valore (focalizzandosi sui reali pro di una persona) invece delle solite stupidaggini che non dicono niente (frasi generiche di complimenti per la professionalità e la serietà)?;

Valorizza il loro tempo

Cerca di capire con i membri del tuo staff se c’è qualcosa di cui possono occuparsi che risuona con le loro velleità e le loro passioni insieme al lavoro che già svolgono.

La possibilità di portare avanti una delle proprie passioni sul posto di lavoro permette di riposare (perché è dimostrato che essere impegnati in qualcosa che appassiona fornisce energie invece di toglierle) e di essere più felice.

Ma questo cosa significa di fatto?

Significa parlare con le persone, conoscerle intimamente e comprendere che, magari, quel membro del team che sta nel backoffice a prendere le prenotazioni sarebbe perfetto nell’organizzazione di eventi e quindi ti fai dare una mano in quello.

Che quella persona al front è molto analitica e appassionata di numeri e può dare una mano con il controllo di gestione.

Quell’altra invece trae soddisfazione nel vedere un problema dei clienti risolto e quindi le fai fare problem solving, customer satisfaction e rispondere alle recensioni.

La gestione del proprio team, attuale, futuro, potenziale è estremamente complessa.

Fino a oggi l’abbiamo presa un po’ sottogamba credendo che, semplicemente perché gli pagavamo uno stipendio, avremmo sempre trovato persone disposte a lavorare.

Oggi non è più così e dobbiamo iniziare a pensare non solo a far comprendere i nostri vantaggi verso i clienti ma anche verso il nostro team, che non a caso vengono chiamati clienti interni.

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